Progetto Johnny: indagine su sharing mobility

Attenzione a franchigie e penali e a clausole vessatorie nei contratti.

Dopo quattro indagini sull’ecommerce, sempre nell’ambito del progetto Johnny, MC ha realizzato un’analisi su 20 piattaforme che operano nella sharing mobility: 9 nel “car sharing” o “car rental” (noleggio metropolitano) e 11 nel “car pooling” (utilizzo di una sola automobile da parte di un gruppo di persone che compiono abitualmente lo stesso tragitto). E’ emerso innanzitutto che non tutte le esperienze analizzate possono essere definite come espressioni di “sharing economy”: si stanno, infatti, sviluppando soprattutto forme di business che nulla hanno a che vedere con finalità di condivisione o di consumo consapevole.Puntualizzato questo, abbiamo identificato modelli con alcuni comuni denominatori:

–        uso di piattaforme Internet e/o di applicazioni da scaricare e utilizzare tramite smartphone;

–        uso di auto altrui, invece della propria o del trasporto pubblico.

Nella nostra ricerca abbiamo distinto alcune esperienze fondate su una gestione pubblica da altre private, più recenti e che – soprattutto grazie alle nuove tecnologie e a forti investimenti di multinazionali che operano nel settore – si stanno diffondendo nelle maggiori città italiane.

Dall’indagine è emerso che il car sharing di matrice pubblica fatica a reggere oggi la concorrenza dei privati. Tuttavia i vantaggi alla collettività dalla diffusione del car sharing privato ci sono in termini di beneficio ambientale e anche per il pagamento alle casse comunali da parte degli operatori privati di un contributo annuale.

Nell’analisi del car rental ci siamo soffermati su alcuni aspetti specifici con un occhio di riguardo alle conseguenze che si possono verificare in caso di incidente. Nelle condizioni generali di contratto abbiamo visto quali possono essere le criticità connesse all’utilizzo delle auto a noleggio in ambito cittadino, per quanto riguarda l’applicazione di franchigie e penali all’utente, quando responsabile del sinistro.

Dalla lettura è emerso che in caso di incidente con responsabilità del conducente del veicolo a noleggio le conseguenze per lo stesso possono assumere una certa rilevanza economica (con dubbi di legittimità sull’applicazione di alcune clausole).

Posto che tutti i gestori chiedono all’utente in caso di sinistro di contattare il proprio call center e nella maggior parte dei casi di chiedere l’intervento delle forze dell’ordine, nell’analisi delle condizioni di contratto ha attirato la nostra attenzione l’esistenza di una clausola – contenuta nel primo gestore a livello italiano (Car2go) che afferma che in caso di incidente il cliente non potrà riconoscere la propria responsabilità o rilasciare dichiarazioni di responsabilità. Qualora il cliente rilasci tali dichiarazioni si applicheranno esclusivamente a luiCi siamo chiesti come l’esistenza di questa clausola possa conciliarsi con la procedura CID e quali possano essere gli effetti della sua applicazione. Tale previsione sembra di dubbia liceità (anche se un monito a possibili frodatori) o quanto meno poco trasparente. A nostro avviso non può non determinare delle problematiche in caso di sinistri: conseguenze di un certo peso ai danni del cliente, ma anche un danno per il proprietario del mezzo danneggiato o di colui che abbia subito lesioni. Si evidenzia inoltre che nelle condizioni di contratto è previsto che, in caso di mancata restituzione del modulo CID a Car2go (ma senza dichiarazioni di responsabilità?) entro sette giorni, “l’assicurazione non potrà liquidare i danni dell’incidente e in tal caso car2go si riserva il diritto di addebitare al cliente tutti i danni derivanti dall’incidente a persone, oggetti e veicoli”. Tale clausola pone dubbi di liceità in particolare con riferimento a quanto previsto dall’art. 33 c. 2° lett. t), in quanto è volta a sancire a carico del consumatore limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova.

Per quanto concerne l’applicazione di franchigie e penali da parte delle piattaforme analizzate sono stati rilevati importi anche rilevanti (da un minimo di 150 a un massimo di 1.500 euro) in caso di incidente con torto parziale o totale dell’utente. Il consiglio è quindi quello di un’attenta lettura da parte dei consumatori delle condizioni generali di contratto.

Per quanto riguarda i costi di noleggio per 1 ora si va da un minimo di 2,50 ad un massimo di 17,52 euro, ma questi dati devono essere analizzati alla luce di tutte le varianti dei servizi offerti (si veda l’infografica pubblicata sulla landing page www.movimentoconsumatori.it/progettojohnny). Anche in questo caso, deve essere cura dell’utente fare attenzione a tutte le specifiche relative ai costi: se è previsto un pagamento di iscrizione o di un canone, se nella tariffa è compreso il costo per chilometro percorso, etc.

In merito al car pooling, le piattaforme analizzate, sulla base di quanto dalle stesse pubblicizzato, dovrebbero promuovere una reale e effettiva forma di sharing economy, come condivisione del mezzo privato, senza finalità di lucro, con risparmi a favore sia del trasportato sia del conducente e benefici ambientali. Laddove il servizio si limiti a mettere in contatto chi offre e chi richiede, attraverso una sorta di “bacheca virtuale”, è difficilmente ipotizzabile una responsabilità della piattaforma, sia per quanto riguarda inadempimenti del “driver” o “prosumer” sia in caso di incidente. Tale neutralità però deve essere esclusa nel caso in cui il gestore svolga un ruolo attivo, atto a conferirgli una conoscenza o un controllo dei dati. A nostro avviso proprio l’elemento della neutralità distingue i modelli propriamente di “ride sharing” da altre forme talvolta definite di “car pooling” nelle quali tale elemento viene meno, dal momento che il servizio reso dal privato “prosumer” è di fatto controllato dal gestore della piattaforma che, conseguentemente, potrebbe essere ritenuto responsabile sia in caso di inadempimenti sia di sinistri.

I risultati integrali dell’indagine e le infografiche sono pubblicati su www.movimentoconsumatori.it/progettojohnny nella sezione “Sharing economy”.

 




Sanzione a Veneto Banca per pratiche commerciali scorrette.

L’Antitrust ha sanzionato Veneto Banca per un ammontare complessivo di 5 milioni di euro, per aver posto in essere due pratiche commerciali scorrette.

In particolare, la Banca ha condizionato l’erogazione di mutui all’acquisto di proprie azioni e ha indotto i consumatori che richiedevano un mutuo ad aprire un conto corrente presso la Banca.

I comportamenti messi in atto dalla Banca, avevano lo scopo di realizzare la propria ricapitalizzazione, avvenuta a partire dal secondo semestre 2012 e pieno sviluppo negli anni 2013 e 2014, facendo prevalere i propri interessi di patrimonializzazione su quelli della stessa clientela.

Nel caso dei “mutui soci” riservati ai soci, i consumatori, per ottenerli, sono stati condizionati ad acquistare un numero di azioni superiore a quello normalmente necessario per diventare soci e a non venderle per determinati periodi, al fine di non perdere le condizioni economiche previste per il mutuo. Tra l’altro, i vantaggi che sarebbero dovuti derivare da questi “mutui soci” sono stati, di fatto, completamente annullati dai costi connessi alle azioni acquistate.

Inoltre, quando il consumatore sottoscriveva un mutuo, veniva anche indotto ad aprire un conto corrente con la scusa della necessità di detenere un rapporto di conto corrente collegato al mutuo.

L’Antitrust ha rilevato che queste condotte limitano considerevolmente la libertà di scelta dei consumatori in relazione ai prodotti di mutuo. L’indebito condizionamento connesso alla prospettazione di poter ottenere il mutuo a condizioni particolarmente favorevoli solo sottoscrivendo azioni della Banca appare infatti qualificabile come comportamento idoneo a fare assumere una decisione commerciale che il consumatore non avrebbe altrimenti preso.

Nel caso dei “mutui soci”, “tale indebito condizionamento si è realizzato, in particolare, con la necessaria sottoscrizione da parte dei consumatori dei pacchetti minimi di azioni previsti al fine di poter accedere a questi prodotti di mutuo riservati ai soci, titoli peraltro difficilmente negoziabili e liquidabili, stante la natura di società non quotata della Banca, e che nel corso del finanziamento non potevano essere disinvestiti, per determinati periodi, pena la perdita delle condizioni economiche previste. Inoltre, Veneto Banca, approfittando della propria posizione contrattuale, ha obbligato i consumatori istanti di mutui anche all’apertura di un conto corrente collegato al mutuo presso la stessa, ponendo in essere una pratica legante mutui-conti correnti vietata dal Codice del Consumo”.

Testo completo della sanzione dell’Antitrust

fonte: AGCM